“Dovremmo cercare tutti di conservare uno spazio bianco dentro noi stessi, dove poterci ascoltare”.
Non una semplice esibizione di danza, ma una storia raccontata mediante un’innovativa quanto efficace tecnica di metateatro. Su di un tavolo, una lampada brilla nell’oscurità annidata ai piedi del palco. Emerso dal buio profondo, il protagonista, un giovane beat maker, attratto dalla luce come una grande falena, siede al tavolo. Fogli appuntati sparsi ovunque alla rinfusa e bagnati dal sudore di mille fatiche sono il segno di un obiettivo non ancora raggiunto: la ricerca del suono perfetto.
Più il giovane si impegna per raggiungere il suo scopo, più il suono diventa una flebile eco distante. Così ha inizio un viaggio dentro sè stesso. Confusione, paura, angoscia, disperazione: tutto ciò che prova il protagonista prende vita sul palcoscenico, a suono di danza, grazie alla brillante performance dei ballerini lettoni. Il ritmo diventa sempre più incessante fino al punto in cui è proprio il beat maker a salire sul palco per affrontare il suo ego riflesso in un conflitto finale senza esclusione di colpi. La battaglia è vinta: la musa ispiratrice arriva, infine, danzando soavemente, per consegnargli il premio per la sua vittoria, il premio per essere riuscito ad ascoltare sè stesso.